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di Novella/Rainmbow Warrior – 13 maggio 2005 –
Tonight this is where we go... Ed eccomi ad una nuova trasferta, questa volta in terra scozzese. Paese che vai, curiose abitudini che trovi… Abituata alle lunghe code italiane per assicurarmi la prima fila ai concerti sono rimasta stupita nello scoprire che ad un’ora dall’apertura del locale il pubblico in attesa è composto quasi esclusivamente da noi irriducibili italiane. È davvero uno spettacolo osservare l’ordine con cui le persone in attesa di entrare e gustarsi lo show si dispongono. Uno dietro l’altro, in perfetta fila indiana, chiacchierando naturalmente degli Europe Alle 7 precise si aprono le porte del Garage, un locale che si trova nel cuore di Glasgow, in quella che è la via principale. E anche questa volta Simona, Checca ed io riusciamo ad assicurarci la prima fila, proprio davanti ai nostri heroes, cosa non molto difficile, per altro, date le dimensioni del locale (allo show saranno presenti circa 300 persone) e del palco che è microscopico. La prima cosa a colpirmi è la mancanza della scritta Europe che solitamente giganteggia alle spalle della band. Poi, man mano che prendo familiarità con il locale, mi rendo conto che il palco è talmente piccolo che la scritta risulterebbe del tutto sproporzionata. Anche la strumentazione è ridotta al minimo: al posto della parete di Marshall di Norum ce ne sono solo 3; la batteria di Ian è stata drasticamente dimezzata, e non sono in vista, come al solito, le varie chitarre e bassi che verranno impiegati nel corso dello show. In effetti, la prima impressione non è proprio delle migliori. Sicuramente l’ambiente è molto familiare, ma mi chiedo se questa sia davvero una location adatta per una band come questa… Dopo l’esibizione della band che apre lo spettacolo, durata non più di 40 minuti, ecco che la consueta voce annuncia: Ladies and Gentlemen the biggest hard rock band ever from Scandinavia. Please welcome on stage Europe. E con le prime note di Got to have faith il pubblico, fino a quel momento tranquillo, viene contagiato dall’incredibile energia che la musica degli Europe sa trasmettere. La scaletta, grosso modo, rimane invariata rispetto a quella del tour italiano. Dopo Ready or not ecco l’intro di Superstitious, ed ecco pure l’unico pazzo scalmanato del locale che inizia a spingere e a strattonare per guadagnare posizioni (non so, mi viene il dubbio che volesse sedersi ai piedi della band, dato il limitato spazio che ci separava dal palco). John Leven – che come sempre tiene d’occhio la situazione e interagisce attraverso lo sguardo con il pubblico – si accorge della situazione, di come questo ragazzo ci stia letteralmente massacrando quindi, dopo un gesto di intesa a Simona, si dirige sicuro verso un ragazzo della security di cui richiama l’attenzione battendogli la spalla con il basso; indica verso la nostra direzione facendo capire quello che sta accadendo e in pochi secondi il disturbatore viene allontanato, e noi possiamo tornare a goderci il concerto. Date le dimensioni del palco Joey ha una mobilità limitata e non si esibisce nelle solite evoluzioni con il microfono, anche perché rischierebbe di colpire i due John che si trovano alla sua destra e alla sua sinistra. In compenso salta, balla, lancia il microfono e lo riprende al volo, sale sulle casse di amplificazione che usa a come se fossero dei cubi; tutto questo senza che la sua voce risulti minimamente affaticata o provata. Nonostante sia quasi passato un mese dall’inizio di questa seconda parte del tour, e malgrado siano appena rientrati dagli Stati Uniti, i guys dimostrano grande energia, unita ad un affiatamento e un’alchimia che, evidentemente, con l’andare del tempo, si sta affinando sempre di più. Le canzoni scorrono una dopo l’altra e le esecuzioni sono ineccepibili (ad eccezione di Hero, dove John Norum pasticcia un po’, al punto che Joey stesso sembra quasi prenderlo in giro bonariamente). L’assolo di Mic – che precede l’esecuzione di Sign of the times - che a marzo mi sembrava piuttosto essenziale e scarno - si è arricchito di nuove variazioni e ho la netta impressione di essere piombata indietro nel tempo, tra la fine degli anni ottanta e i primi novanta, quando alle tastiere era lasciato maggiore spazio. Anche se non ce n’è bisogno, Mic ha ulteriormente confermato la propria bravura. Con Cherokee e The final countdown lo spettacolo volge al termine tra l’entusiasmo del pubblico che ha cantato ogni singola nota. Finito lo show la band parte
immediatamente ma i guys non si sottraggono ad un piccolo meeting con le
irriducibili italiane che li stanno aspettando davanti al tour bus. Gentili
come sempre, Joey, Mic, Ian, John Norum e John Leven (ora ben sveglio, a
differenza del pomeriggio, quando Simona ed io lo abbiamo incontrato dopo che
si era appena svegliato da un “riposino” sul tour bus ed aveva ancora il
cuscino stampato sulla faccia…) si informano delle nostre impressioni in
merito allo spettacolo e si fermano a chiacchierare e scherzare un po’.
Quindi, dopo alcune foto, baci ed abbracci, è l’ora di riprendere la strada:
loro per la successiva tappa del tour, alcune di noi, invece, per l’Italia. |